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Due chiacchiere con Iacopo Carreras, fondatore di U-Hopper

Due chiacchiere con Iacopo Carreras, fondatore di U-Hopper
UH Planet

Oggi Daniele, attuale CEO di U-Hopper, ha preso un caffè con Iacopo Carreras, co-fondatore di U-Hopper. Chi meglio di lui può svelarci quando e come è nata U-Hopper, quali errori sono stati fatti in passato (se sono stati fatti!) e, soprattutto, perché si chiama proprio U-Hopper? Facciamocelo raccontare!

Buongiorno! Siamo qui con Iacopo Carreras, co-fondatore di U-Hopper. Iacopo, racconta un po' chi sei e da dove vieni.

Sono Iacopo, toscano di origini e trentino di adozione. Ho studiato a Pisa Ingegneria delle Telecomunicazioni, laureandomi nell’ormai lontano 2001. Dopo un breve intermezzo in ambito industriale, durante il quale ho lavorato come sviluppatore all’interno di un’azienda del gruppo Telecom, mi sono spostato a Trento dove ho iniziato a lavorare all’interno del centro di ricerca FBK e, al tempo stesso, portando avanti un dottorato in Informatica con l’Università di Pisa e il CNR.

Un toscano che lascia la Toscana, lascia il mare, per venire in Trentino. Come è stato?

Diciamo che, in fondo, un po' montanaro io lo sono sempre stato; quindi per me è stata una scelta abbastanza facile. Lo è stato un po' meno convincere a trasferirsi con me la donna che poi è diventata mia moglie - lei era decisamente più legata al mare. Ma alla fine, eccoci qua! Ormai viviamo a Trento da circa vent’anni e devo ammettere che il Trentino è un po' la nostra seconda casa.

E quando eri qui a Trento, ad un certo punto hai deciso di buttarti in questa iniziativa imprenditoriale e di creare U-Hopper. Quali erano le motivazioni e le aspettative con cui sei partito in questa avventura?

All’inizio, come tutte le cose, è successo un po' per caso. Ero spinto dalla voglia e dalla volontà di applicare la ricerca in contesti quotidiani; volevo trasformare le idee che erano nate negli anni trascorsi all’interno del centro di ricerca in qualcosa di concreto, che andasse oltre al prototipo. Al tempo, la scintilla che ha acceso la miccia è stata l’opportunità di partecipare al bando “Seed Money” della provincia di Trento; un bando che alla fine abbiamo vinto e attraverso il quale siamo riusciti a muovere i primi passi. E così, nel 2010, è nata U-Hopper.

Ora però sei l’amministratore delegato di un’altra azienda: Thinkinside. Ci parli un po' di questa nuova iniziativa imprenditoriale?

Si sa, da cosa nasce cosa e lavorando insieme al team di U-Hopper sono nate altre nuove idee. Una di queste era quella che oggi è diventata Thinkinside , azienda attiva nel mondo indoor tracking. In altre parole, forniamo analitiche e servizi di geolocalizzazione per ambienti indoor come negozi, aeroporti, ospedali, fiere, impianti manifatturieri, per supportare sia chi gestisce un certo ambiente, sia chi ne usufruisce.

Quali sono gli errori che, potendo tornare indietro, non ripeteresti?

Anche se può sembrare scontato, gli errori secondo me vanno fatti! Quindi li ripeterei comunque tutti, perché è solo sbagliando che si impara veramente e si migliora. Forse, più che di errori, parlerei piuttosto di una curva di apprendimento. Infatti, quando è partita U-Hopper, io fondamentalmente sapevo scrivere codice, articoli e proposte di ricerca. Per cui per me è stato qualcosa di completamente nuovo e sconosciuto; e come sempre, quando si impara facendo, chiaramente si sbaglia anche. Bisogna stare attenti a non lasciarsi scoraggiare da questi errori, ma di trasformarli in esperienze di apprendimento.

La cosa più importante che hai imparato?

Direi che una tra le tante cose che ho imparato lavorando come imprenditore, prima per U-Hopper e poi per Thinkinside, è che non basta una buona tecnologia per portare avanti una buona azienda; la parte tecnologica, per quanto importante, non dico sia secondaria, ma è un “di cui” che deve andare di pari passo a tanti altri aspetti che devono essere curati in maniera altrettanto strutturata e preparata quando si avvia un’attività imprenditoriale. La tecnologia da sola non si vende, da sola non si presenta; una tecnologia che magari funziona bene di base, in realtà ha bisogno di moltissimi altri aspetti affinché diventi un prodotto.

Una delle cose che molto spesso ci chiedono quando ci presentiamo come azienda presso clienti, partner e investitori riguarda il nome. Tutti ci dicono: “Questo nome, U-Hopper, da dove viene?”. Ora, dato che sei tu il fondatore, ce lo puoi spiegare una volta per tutte?

Il nome nasce da un tema sul quale ho lavorato durante il mio dottorato, riguardante le cosiddette “reti di comunicazione opportunistiche”, ovvero reti che sfruttano la prossimità delle persone e dei loro dispositivi mobili connessi come mezzo di comunicazione. Provo a spiegarmi meglio: quando due persone con due smartphone, si trovano in prossimità l’una dell’altra, gli smartphone possono passarsi direttamente, senza passare da Internet, dati ed informazioni, sfruttando appunto la vicinanza fisica.

Il potenziale di queste reti cresce all’aumentare del numero di persone e dei loro dispositivi tra loro vicini in un dato ambiente; infatti, i dati possono “saltare” da un dispositivo all’altro con una sorta di effetto “a catena”, propagandosi per vaste aree, come per esempio all’interno di una città, dove è ragionevole pensare che ci siano molte persone e dispositivi vicini. Uno degli scenari di applicazione che avevamo pensato per questa tecnologia era, per esempio, legato al marketing di prossimità.

Pensando ad un nome che potesse catturare questo concetto, era nata l’idea di “U-Hopper”; dove “U” stava per “You”, ad indicare il ruolo centrale delle persone, ed “Hopper” richiamava il termine inglese grasshopper, cioè grillo, e rappresentava il dato che “saltava” da un telefono all’altro. E da lì è nato il nome U-Hopper.

U-Hopper logo

Correva l’anno 2010: nasce U-Hopper e questo era il suo primo logo

Come padre fondatore di U-Hopper, vuoi lasciare un messaggio per le persone che abbiamo assunto, specialmente nell’ultimo paio d’anni? Giovani che spesso si trovano a cominciare la loro carriera professionale in U-Hopper. Cosa gli vorresti dire?

Lavorare per un’azienda come U-Hopper vuol dire mettersi in gioco; vuol dire fare la differenza, prendere l’iniziativa, essere attori di quella che può essere l’evoluzione dell’azienda. Quindi, quello che vorrei dire è che occorre impegnarsi! Bisogna essere determinati nel portare avanti le proprie idee e di creare delle opportunità nuove sia per l’azienda sia per sé stessi.

Grazie Iacopo per il tuo tempo. Ci vediamo presto per una birra!

È stato un piacere!

Guarda qua sotto uno spezzone dell’intervista con Iacopo!